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Etica ed Estetica per il nuovo World Trade Center
di Paolo Gioffreda*

Un'esibizione di opere per la ricostruzione sul luogo della sciagura del World Trade Center proposte da una selezione di 120 architetti internazionali; dopo New York e Washington in esclusiva al padiglione americano della Biennale di Venezia come anteprima europea

Che ne sarà del luogo dove sorgevano le Twin Towers? Diverrà un parco commemorativo per le vittime della tragedia? Saranno realizzati progetti innovativi, avveniristici? Verranno edificate delle nuove Twin Towers? Se così fosse, sarebbero alte come le precedenti od ancora più alte?

Un'ampia gamma di risposte a questi ed altri svariati interrogativi, densi della carica emotiva di una privazione insostenibile, ci vengono mostrate da quei centoventi architetti selezionati per l'esibizione "Un Nuovo World Trade Center: Proposte di Design" che, dopo la Max Protetch Gallery a Manhattan, si è trasferita al National Building Museum nella capitale Washington, anch'essa sensibilmente colpita dal medesimo raid terroristico dell'undici settembre. La sua anteprima europea approda alla Biennale di Venezia, dal 08/09 al 24/11 al padiglione americano, un'esclusiva sottratta sul tempo a musei come il Vitra Design di Berlino, il Deutsche Architecture di Francoforte, il Netherlands Architecture Institute di Rotterdam.


Centoventi architetti che, sollecitati dell'eccezionalità dell'evento, ci rivelano un eclettico ed autorevole assemblaggio di idee architettoniche, con disegni, semplici schizzi, modelli, rappresentazioni digitali , finanche componimenti poetici. La tendenza che ha perseguito il criterio selettivo, nella scelta dei professionisti da invitare alla mostra, si è rigorosamente spezzata in due, incentrandosi sia verso personaggi illustri dell'architettura contemporanea - Michael Graves, Coop Himmelblau, Hans Hollein, Zaha Hadid, Frei Otto, Daniel Libeskind ed altri -, sia verso architetti emergenti, considerati come i probabili talenti del domani.

Si può iniziare con una lettura sintetica delle opere da una storica cartografia di New York esposta da Graves, che ipotizza la ricostruzione del WTC in un luogo ricco di vitalità policulturale, con una forma simile a quella da adottare in un quartiere urbano tradizionale, ma che verrà equilibrata in rapporto alla media densità dell'attuale Manhattan. Tra le immagini di notevole tenuta attrattiva si può evidenziare l'opera di Steven Holl, che afferma: "La tragedia delle torri ha portato via molte anime, senza permettere di interrare i corpi, cosicché anche il mio edificio non è interrato e, come il corpo delle vittime, aleggia con la superficie del fiume Hudson che gli scorre dal basso". Viene proposto un ampio corpo scala squadrato che, spuntando dall'acqua, ascende diagonalmente avviluppandosi lungo stretti e verticali prismi portanti. All'interno uffici, gallerie, un hotel, luoghi di svago e ristorazione, punti di osservazione. La volumetria squadrata, sebbene inclinata, rievoca la massa delle Twin Towers, come spuntasse dal fiume, giungendo in lenta progressione ad un'altezza così elevata da riconsentire la stessa veduta pubblica panoramica. La diversità dei progetti è senza dubbio frastornante: la proposta di Kaufman è quella della costruzione di un ponte fino al New Jersey, con la funzione di passaggio tra due sponde, cosicché anche lo storico fiume Hudson verrebbe riqualificato, attraverso percorsi di emergenza, attività turistiche e commerciali. Quest'arcuata costruzione bivolumetrica rievoca visivamente le due torri perdute, sebbene adagiate e congiunte tra loro a metà percorso, al centro del fiume. Una cattedrale secolare la presenta Paolo Soleri, un luogo per meditare sulla lunga storia del terrorismo teologico. L'architetto giapponese Shigeru Ban confessa di non concepire la ricostruzione di ulteriori grattacieli, che aggraverebbero ancor più la sconfitta dell'Ego nazionale. Propone, invece, una delle sue strutture leggere simile alla Paper Church, che ideò dopo il terremoto di Kobe del 1995: un templio cartaceo provvisorio, circolare, di forme e proporzioni classiche , come luogo di preghiera e di conforto post-sciagura. Un'altra proposta, che però ci giunge in un modo tragicamente insolito, è quella dello scomparso Samuel Mockbee (Sambo), che è passato a miglior vita non appena terminato di elaborare la sua idea dal letto dell'ospedale. L'idea? Due torri più elevate delle originali, ma con al centro una cavità profonda ben 280 metri. In tal modo Sambo, nel rispettare fino in fondo la propria professionalità in questa tragedia e nel condividere la sua tragica fine con quella delle vittime delle Twin Towers, con questo contributo di certo parteciperà idealmente nella futura riprogettazione del WTC. Altri espositori hanno puntato sulla focalizzazione di un progetto che avrebbe esternato un tangibile sentimento di umanità. Tra questi, Marwan Al-Sayed che ha scritto: " Volgendo lo sguardo alla storia passata del grattacielo, si può dedurre che forse il suo futuro potrà appartenere non tanto all'emozione pirotecnica delle forme, delle strutture o delle tecnologie, bensì alla propria capacità di divenire una sorta di contenitore di emozioni per coloro che accoglie". Così ha presentato un edificio il cui rivestimento diviene una sorta di ricettore e trasmettitore di una dinamica realtà urbana, attraverso superfici che possano ben integrarsi con gli ambienti esterni. Kruek e Sexton, analogamente, pur conservando un frammento delle torri colpite su faccia a vista, hanno suggerito un edificio dalle facciate flessibili e versatili, nell'enfasi dei valori incentrati sulla vitalità e sull'entusiasmo che offre la Grande Mela. La tendenza di alcuni architetti si è riversata in progetti focalizzati sull'utilizzo di energie sostenibili e rinnovabili. Altri ancora hanno sottolineato la volontà di destinare i nuovi spazi progettuali come case per artisti. Ulteriori firme, come Fox & Fowle e Preston Scott Cohen, hanno svolto la loro opera con maggiore pragmatismo progettuale, nel sottolineare quel rapporto urbanistico che intercorre tra i la discrezione da riservare al sito ed il suo ruolo all'interno delle realtà dell'ampia griglia urbana.


Eccezionalmente straordinaria ed irripetibile, come l'evento esibitivo, è stata anche l'accoglienza dell'evento stesso da parte della moltitudine di visitatori, la vera protagonista dell'esibizione. Fin dal giorno dell'inaugurazione, infatti, è restato piuttosto difficile convincersi nel vedere così tanta partecipazione nei riguardi di una mostra concepita unicamente per idee di architettura. In realtà la folla si è accalcata ed accampata durante le ore serali e notturne, ore ed ore di interminabili file battendo i piedi dal freddo, nell'attesa di poter accedere alla galleria sulla ventiduesima strada. La straordinarietà dell'evento e del suo successo dimostra e riconferma ancora New York come cuore della vita artistica contemporanea e globalizzante. Infatti è stato il richiamo dei visitatori della mostra, emerso da quella folla singolare ed ineguagliabile, uno dei più elevati moniti esortativi su come e quanto si voglia elaborare discussioni e scelte progettuali, su come e quanto si possa immaginare e desiderare un futuro appropriato per la città, attraverso il trasferimento immediato dei messaggi dell'evento all'interno di quell'insieme di complementarietà artistica che avvolge ogni settore delle realtà sociali e culturali di New York. Ne consegue che quest'effondersi dei visitatori all'esibizione mostra un enorme desiderio di trovare prodotti espressivi da esaminare e valutare, un enorme desiderio di trovare l'architettura appropriata con cui rigenerare quello spazio urbano sottratto. L'Architettura, l'unica in grado di risolvere interrogativi di tale portanza ed importanza, si mostra in questo frangente davanti agli occhi di tutti, evidenzia e diffonde il suo potere intimo, suscitandolo esplicitamente nel coscienzioso comportamento di quella moltitudine. Un comportamento sociale che invoca a rispettare le fondamenta deontologiche dell'architettura, nei suoi valori sia etici, sia estetici.

Nel convulso contesto, emotivo e politico, che si va aggrovigliando sempre più intorno alle decisioni progettuali per la costruzione del Nuovo WTC, perfino la scelta degli architetti, selezionati per la mostra, è risultata una questione fortemente discutibile e controversa, con residui tuttora densi di polemiche. La scelta degli organizzatori infatti è stata largamente criticata e biasimata in una rilevante conferenza pubblica, sia per non aver considerato sufficientemente gli architetti locali, sensibilmente ed autenticamente i più colpiti dall'evento tragico, sia per aver preferito dei professionisti internazionali, di certo fra i più prestigiosi e fra i più promettenti, ma con un baricentro di lignaggio e competenze topicamente non circoscritte all'interno dell'endemicità culturale della Grande Mela.

Ne consegue che, all'interno delle proposte esibite per la ricostruzione del Nuovo WTC, si può osservare un'ampia varietà di idee generate da culture differenziate fra loro. Alcune di queste invitano al rammarico altre alla riflessione, alcune risultano fattibili altre del tutto irrealizzabili. Malgrado tutto, tra gli attuali progetti l'arrivo di quello definitivo per la ricostruzione del WTC resta ancora piuttosto lontano dalla fase esecutiva in quanto, a monte, persino le motivazioni progettuali preliminari da perseguire restano, ancora oggi, molto vaghe e poco trasparenti. Pertanto nelle fasi operative progettuali appare fatale una scelta indotta, fra la seduzione di architetture innovative e la tradizione di quelle già intimizzate, fra la pura creatività artistica ed il puro buon senso estetico, fra l'avverare passioni desiderate e l'alleviare passioni tragiche, una scelta progettuale indotta che crea sempre un gap abissale, dove le attitudini decisionali del professionista si spengono, soffocate dalla logica della rassegnazione ai condizionamenti.

Tutte queste proposte hanno così tastato il terreno per arrivare ad un metodo comune, per arrivare alla natura comune di quella richiesta oggettiva che va accrescendosi e che anela ostinatamente alla ricostruzione di una zona urbana esemplare, con architetture, infrastrutture, spazi pubblici di levatura mondiale, in grado di manifestare i più elevati ideali per il futuro della città di New York.

Così, nonostante il contagio generale che ambisce ad edificare l'edificante, nel suo complesso la mostra resterà comunque proficua, resterà come modello di potenziali architetture per la questione definitiva che condurrà i prossimi dibattiti, per la questione incentrata su cosa far subentrare in quello spazio lacerato e lacerante, che si è cristallizzato nel cuore di Manhattan, degli Stati Uniti d'America e di gran parte del mondo.

* Paolo Gioffreda architetto